Bussola per la competitività

L’obiettivo della competitività globale non deve portare a regressioni sui diritti

«I leader dell’Ue dovrebbero ignorare i richiami delle sirene dei lobbisti aziendali affinché l’Europa segua Trump in una corsa globale al ribasso, che non potremmo mai vincere, e invece difendere ciò che rende grande l’Europa». Lo ha affermato la segretaria generale della Confederazione europea dei sindacati (Ces), Esther Lynch, esprimendo la preoccupazione dei sindacati europei per la tendenza generale alla deregolamentazione in ambito lavorativo, sociale e ambientale, proclamata e avviata dalla nuova amministrazione statunitense ma che sembra condizionare non poco anche il panorama europeo. La Commissione europea sta lavorando infatti a una “semplificazione” del Green Deal in nome di un’auspicata maggior competitività, motivazione che ha portato anche i gruppi imprenditoriali europei ad avanzare proposte per ridurre gli standard attuali, che regolano le produzioni e i mercati del lavoro.

Competitività non a scapito dei diritti

In un documento intitolato “Ridurre l’onere normativo per ripristinare il vantaggio competitivo dell’Ue”, la Confederazione delle imprese europee BusinessEurope  ha recentemente avanzato 68 proposte per modificare l’attuale normativa dell’Ue, un documento con cui «ha finalmente chiarito cosa significa “ridurre l’onere normativo”» osserva la Ces, segnalandone i punti a suo avviso più rilevanti e preoccupanti. Ad esempio, la richiesta di eliminare il diritto alla trasparenza salariale per le aziende con meno di 250 dipendenti, norma contenuta all’art. 9 della direttiva UE 2023/970 e considerata «eccessivamente prescrittiva» da BusinessEurope, ma che se modificata escluderebbe ben due terzi dei dipendenti europei dalla trasparenza retributiva. Questa soglia, spiega la Ces, indebolirebbe «la legislazione in 12 Stati membri in cui la rendicontazione delle retribuzioni si applica già alle organizzazioni con un numero di dipendenti tra 50 e 150». Il diritto alla parità di retribuzione «non dovrebbe dipendere dalle dimensioni dell’azienda», mentre la trasparenza salariale «potrebbe essere uno strumento per porre fine al divario retributivo di genere del 14% in Europa» sostiene Esther Lynch, secondo cui la Commissione rischia di «annacquare la direttiva su richiesta dei lobbisti aziendali». Altre proposte di BusinessEurope riguardano standard di sicurezza più bassi, in particolare per il controllo dei sistemi di gestione dell’intelligenza artificiale o per la rendicontazione della produzione di giocattoli, cosa che secondo la Ces metterebbe «a rischio la reputazione dell’Europa nella produzione di beni di alta qualità». Poi la richiesta di ridurre le norme sul carbonio previste dal Cbam (Carbon Border Adjustment Mechanism), che consentirebbe a un numero maggiore di concorrenti globali di importare prodotti sporchi in Europa, «mettendo a rischio non solo il clima ma anche i posti di lavoro industriali puliti» ammoniscono i sindacati europei. Infine, da parte degli imprenditori europei anche la richiesta di abolire la proposta di direttiva sui tirocini, che invece proteggerebbe milioni di giovani da pratiche di sfruttamento. Secondo uno studio dell’European Youth Forum sui “Costi degli stage non retribuiti”, infatti, in Europa questi stage costano ad ogni giovane che li frequenta mediamente oltre 1000 euro al mese. Dal momento poi che molti stage durano sei mesi, la spesa totale a carico di un giovane per sovvenzionare il proprio impiego temporaneo è di almeno 6000 euro. Oltretutto, più della metà dei giovani intervistati per questo studio ha dichiarato di aver svolto almeno due tirocini non retribuiti prima di trovare un lavoro retribuito, cosa che raddoppia addirittura i costi già elevati. La ricerca evidenzia quindi come «i tirocini non retribuiti accrescano la disuguaglianza tra i giovani provenienti da contesti sociali diversi, impongano costi insostenibili alle famiglie, minaccino la salute mentale dei giovani e creino ingiuste distorsioni del mercato del lavoro» ha osservato la presidente dell’European Youth Forum, María Rodríguez Alcázar.

Riorientare la bussola

A conferma di un clima teso tra una Commissione europea sempre più favorevole alle richieste di deregolamentazione avanzate dagli imprenditori e una Confederazione europea dei sindacati schierata per la tutela dei diritti dei lavoratori, è giunta la decisione della Ces di non sostenere la strategia dell’esecutivo europeo contenuta nella bussola per la competitività (Competitiveness Compass) presentata il 29 gennaio scorso.

Definita sulla base del Rapporto sul “Futuro della competitività europea” reso noto da Mario Draghi nel settembre 2024,  nelle intenzioni della Commissione la bussola «traccia il percorso che farà dell’Europa il luogo in cui le tecnologie, i servizi e i prodotti puliti futuri sono inventati, fabbricati e commercializzati e nel contempo il primo continente a impatto climatico zero». Cosa possibile però solo diminuendo il «persistente divario nella crescita della produttività» e agendo con urgenza «per affrontare gli annosi ostacoli e le debolezze strutturali che la frenano» sostiene la Commissione.

Pur dichiarandosi «pienamente d’accordo con la necessità di rendere l’economia europea più competitiva», i sindacati europei vedono in questa strategia una deregolamentazione che porta a un ripensamento sul lavoro di qualità, cosa inaccettabile perché «non sono i lavoratori e i loro diritti il problema» osserva la Ces. Seconda la segretaria generale «la Commissione sta chiedendo troppo alle persone sbagliate», con un ripensamento di regolamenti che «renderà i luoghi di lavoro meno sicuri o costringerà le persone a lavorare fino ai settant’anni, senza salvare le aziende». La Ces sottolinea invece come la competitività dell’Europa sia stata «gravemente compromessa da lavori di scarsa qualità, con salari bassi e cattive condizioni, che svolgono un ruolo importante nell’esacerbare la carenza di manodopera». L’Europa, ha aggiunto Lynch, «deve accettare che non potremo mai vincere una corsa al ribasso e invece puntare a un futuro basato su grandi investimenti, elevati standard sociali e lavori di qualità».

Per questo la Ces ritiene che i lavoratori e i loro sindacati debbano essere ascoltati, «a livello aziendale, settoriale, nazionale ed europeo», e che gli ingenti investimenti pubblici promessi dalla Commissione «siano accompagnati da condizioni sociali che trasformino questo piano in una situazione vantaggiosa per lavoratori e aziende».