Stretta dell’Ue sulle migrazioni… e sui diritti
Si delinea un’Europa “fortezza” mentre aumentano le denunce di gravi violazioni
Sono tempi sempre più duri per i migranti che cercano di dirigersi verso l’Ue. Dopo le restrizioni introdotte dal Patto su migrazione e asilo, le chiusure propagandate nel corso delle campagne elettorali per le elezioni europee e in vari Stati membri, le iniziative adottate da alcuni Paesi e la direzione che sembra prendere la nuova Commissione europea, ora si inizia a intravvedere unità di intenti verso la creazione di un’Europa sempre più fortezza e sempre meno accogliente. Aumenta infatti il numero di Stati membri che chiedono di rivedere e rafforzare la direttiva europea sui rimpatri e che sostengono la delocalizzazione in Paesi terzi del controllo dei flussi. Nella lettera sulla migrazione inviata ai capi di Stato e di governo dell’Ue in vista del Consiglio europeo del 17-18 ottobre, la presidente della Commissione europea ha indicato alcuni punti prioritari, tra i quali la possibilità di «esplorare l’idea di sviluppare hub di rimpatrio al di fuori dell’Ue», sull’esempio del protocollo Italia-Albania (entrato in azione tra le polemiche) da cui, sostiene, «potremo anche trarre insegnamenti». Von der Leyen esorta poi a «continuare a siglare partenariati globali con i principali Paesi terzi», senza alcuna preoccupazione per le denunce di gravi violazioni dei diritti umani riguardanti gli accordi già in vigore con Turchia, Libia e Tunisia. Oltretutto, a detenere attualmente la presidenza di turno dell’Ue è proprio l’Ungheria, il cui il primo ministro Orbán si è detto recentemente favorevole alla creazione di hotspot esterni all’Ue in cui trattenere i migranti in attesa del rimpatrio, sul modello di quanto messo in atto dal governo italiano in Albania. La Commissione chiede anche di accelerare l’attuazione del Patto su migrazione e asilo, messo però già in discussione da molti Stati membri che chiedono modifiche in senso restrittivo e sulla cui attuazione i governi di Paesi Bassi e Ungheria hanno annunciato di volere un’esenzione.
Controlli anche alle frontiere interne
Una pratica, quella di smarcarsi dalle regole europee in materia di migrazioni, già vista nelle ultime settimane con la Germania che ha deciso di estendere i controlli temporanei a tutti i nove confini del Paese per contrastare l’immigrazione irregolare e «tutelare il Paese dalla minaccia del terrorismo», ha spiegato la ministra dell’Interno Nancy Faeser. Una decisione che ha di fatto sospeso per la Germania l’accordo di Schengen sulla libera circolazione alle frontiere interne dell’Ue, provocando le reazioni negative delle istituzioni europee e di alcuni Paesi confinanti. Il governo austriaco ha definito «illegale» la decisione tedesca, ma non per la sospensione del principio di libera circolazione quanto piuttosto per il rischio di doversi accollare parte dei flussi migratori, dichiarando che non accetterà i migranti respinti da Berlino. Anche il primo ministro polacco, Donald Tusk, ha dichiarato «inaccettabile» l’azione tedesca, proponendo agli altri Paesi direttamente interessati da questa decisione di concordare un’iniziativa in ambito di Ue, per poi smarcarsi a sua volta dalle regole europee annunciando di voler introdurre restrizioni sul diritto di asilo in Polonia, come risposta alla pressione migratoria di migranti dalla Bielorussia. L’iniziativa della Germania sulla sospensione degli Accordi di Schengen non è però una scelta isolata, dal momento che almeno altri sette Paesi hanno recentemente reintrodotto controlli temporanei alle frontiere interne all’Ue: Austria, Danimarca, Francia (per le Olimpiadi), Italia (per il G7), Norvegia, Svezia e Slovenia. Quasi tutti hanno giustificato le decisioni con la necessità di aumentare i controlli in seguito ai flussi migratori causati dalle guerre in Ucraina e in Medio Oriente.
Violazioni in Turchia e Tunisia, con i finanziamenti dell’Ue
Mentre valuta la possibilità di estendere gli accordi di collaborazione con Paesi terzi per il controllo delle migrazioni, spostando cioè il “problema” al di fuori dei propri confini in cambio di lauti finanziamenti, l’Ue è però accusata di complicità nelle gravi violazioni dei diritti umani che tali pratiche comportano. L’ultima denuncia in tal senso è stata formulata da un’inchiesta coordinata dalla piattaforma investigativa Lighthouse Reports, che raduna nove testate tra le quali Le Monde, El País, Der Spiegel e L’Espresso. Secondo l’inchiesta, l’Ue ha convogliato dal 2015 ad oggi oltre 10 miliardi di euro verso le autorità della Turchia affinché bloccassero i flussi di profughi diretti in Europa, ma questo ha portato a un «sistema di deportazione oscuro» in cui rifugiati siriani e afghani «sono stati detenuti e abusati» nei 30 centri di espulsione realizzati in accordo con l’Ue. «Uomini, donne e bambini siriani e afghani vengono rinchiusi in centri di espulsione finanziati dall’Ue dove affrontano torture e abusi, e poi deportati con la forza in condizioni a volte mortali, mentre l’Ue osserva» denuncia Lighthouse Reports, che pubblica immagini di attrezzature finanziate dall’Ue e utilizzate dalla polizia turca per arresti e deportazioni, compreso un bus con il simbolo dell’Ue sulla fiancata, per rafforzare le barriere di contenimento dei centri e, con i nuovi sistemi di rilevamento, intercettare e prelevare i migranti in strada: «L’Ue è consapevole di finanziare questo sistema abusivo, e il suo stesso personale ha lanciato l’allarme al suo interno, eppure gli alti funzionari scelgono di chiudere un occhio». Interpellata dagli autori dell’inchiesta la Commissione europea risponde che questi finanziamenti avvengono «nel pieno rispetto degli standard europei e internazionali» e che spetta alle autorità nazionali verificare eventuali violazioni.
Una situazione simile a quelle già denunciate in Libia e Tunisia, quest’ultima tornata alla luce con una recente inchiesta del quotidiano britannico The Guardian secondo cui le forze di sicurezza tunisine, finanziate dall’Ue, compiono violazioni sistematiche dei diritti umani, violenze sessuali e respingimenti illegali abbandonando i migranti nel deserto, anche donne e bambini. L’inchiesta denuncia anche che alcune imbarcazioni finanziate dall’Ue sarebbero poi rivendute dalla guardia marittima tunisina ai trafficanti di migranti. Il numero di arrivi sulle coste italiane dell’Ue è così diminuito del 64% nei primi otto mesi del 2024, ma intanto cresce a dismisura la popolazione del campo profughi di El Amra, dove secondo alcune testimonianze oltre 100.000 migranti sopravvivono in condizioni «orribili» circondati dalla polizia tunisina e dove l’ingresso è vietato alle organizzazioni umanitarie.