Inserto n. 38: Responsabilità sociale delle imprese

molte iniziative, pochi risultati

«Integrazione su base volontaria dei problemi sociali e ambientali delle imprese nelle loro attività commerciali e nelle loro relazioni con le altre parti». Il Libro verde presentato dalla Commissione europea nel 2001 definisce così la responsabilità sociale delle imprese (Rsi o Csr - Corporate Social Responsibility), argomento sempre più dibattuto e al centro di numerose iniziative, nazionali e internazionali, promosse negli ultimi due decenni. Sono infatti trascorsi poco più di 20 anni da quando un guasto all’impianto chimico della società statunitense Union Carbide causò la morte di migliaia di persone a Bhopal (India, dicembre 1984), una tragedia che accese il dibattito mondiale sulle responsabilità delle imprese di fronte all’intera società e all’ambiente in cui operano. Da allora, molto si è tentato di fare in tema di responsabilità sociale in tutti gli ambiti e i settori di attività delle imprese, con risultati però ancora non soddisfacenti. La questione è complessa e i dati significativi: l’agenzia Onu sul commercio e lo sviluppo (Unctad) stima circa 65.000 multinazionali, 850.000 consociate estere, con almeno 54 milioni di lavoratori, milioni di imprese locali fornitrici e un volume di investimenti diretti esteri che nell’ultimo decennio è passato da 1700 a 6600 miliardi di dollari. In questo quadro globale si è assistito a un proliferare di codici di condotta, bilanci, etichette, premi, indici e fondi, tanto da fare della Rsi una questione di mercato per imprese, consumatori e investitori. Ma gli strumenti per verificare e garantire l’effettiva attuazione dei principi sono ancora troppo deboli. E proprio questo è il punto centrale del dibattito sulla Rsi: accettare e rispettare le regole di responsabilità sociale comunemente definite dai soggetti interessati (governi e organismi internazionali, imprese e loro organi di rappresentanza, organizzazioni sindacali e non governative) può essere delegato alla semplice volontà delle imprese o deve invece avvenire sulla base di normative vincolanti che permettano verifiche certe e prevedano sanzioni?

iniziative a più livelli

I numerosi codici volontari di condotta etica, creati unilateralmente dalle imprese, si sono rivelati deboli ed inefficaci, validi più per l’immagine che non per il miglioramento effettivo delle prestazioni sociali e ambientali delle imprese. A metà degli anni Novanta sono così nate varie iniziative cosiddette “multistakeholder”, attraverso cui organizzazioni multilaterali, sindacali, imprenditoriali e non governative chiedono alle imprese di partecipare a programmi che fissano standard sociali e ambientali, svolgono monitoraggi, certificano le buone pratiche e incoraggiano il dialogo tra le parti (ad esempio l’AA1000, l’Ethical Trading Initiative, il Global Compact, la Global Alliance ecc.). Successivamente sono stati creati incentivi da enti terzi indipendenti, legittimati a livello internazionale (ISO, SA8000, Ecolabel, Emas ecc.): alcuni sono ancora in fase sperimentale, ma presentano il limite di basarsi sulla totale volontarietà e di coinvolgere un numero minimo di imprese che operano nel contesto mondiale. Esistono poi numerosi accordi-quadro che decine di grandi multinazionali hanno firmato con le Federazioni sindacali internazionali dei propri settori (vedi tabella a pag. VIII).
Le iniziative internazionali più rilevanti sono indubbiamente le Linee guida dell’Ocse e la Dichiarazione tripartita dell’Oil. L’importanza delle Linee guida Ocse deriva dal fatto che registrano l’adesione di 38 Stati e che prevedono la creazione dei Punti di contatto nazionali (Pcn) per promuovere i principi, facilitare il dialogo e risolvere le controversie. La Dichiarazione tripartita, invece, si distingue perché si tratta di un’iniziativa specifica in materia di Rsi che delinea i principi di riferimento in tutti gli Stati membri dell’Oil.
Anche l’Onu è intervenuta negli ultimi anni sul tema della Rsi, lanciando nel 2000 il Global Compact e adottando nel 2003 le Norme che indicano gli obblighi per le imprese in materia di diritti umani. A livello europeo, la questione della Rsi è entrata a far parte delle politiche dell’Ue dal 2000, con la definizione della Strategia di Lisbona. Da allora, la Commissione ha prodotto un Libro verde, una comunicazione e istituito un Forum europeo, mentre il Parlamento ha espresso la sua posizione con alcune importanti risoluzioni.

scarsa concretezza

«Il mondo degli affari non ha alcuna legittimazione politica per definire unilateralmente le proprie responsabilità nei confronti della società» si legge nella risoluzione del XVIII Congresso mondiale dell’Icftu. La Confederazione internazionale dei sindacati, sottolineando la centralità delle organizzazioni sindacali e dell’Oil nella promozione della Rsi, richiama alla necessità di «norme vincolanti al fine di garantire una maggiore affidabilità da parte delle imprese». Secondo l’Icftu, troppi governi che hanno aderito alle Linee guida Ocse non hanno poi attuato né meccanismi efficaci né i Pcn, mentre il Global Compact deve essere dotato di misure efficaci riguardo all’integrità dei comportamenti.
Non molto diversa è l’opinione di Geoffrey Chandler, ex-dirigente della Shell poi collaboratore di Amnesty International, secondo cui «solo una minoranza delle multinazionali ha aderito al Global Compact, l’Oil copre solo le materie del lavoro e le Linee guida dell’Ocse si sono dimostrate un meccanismo inadeguato per aumentare la consapevolezza delle corporations. Nessuno di questi tre strumenti è servito a diminuire la diffidenza nei confronti delle imprese e la convinzione che il profitto venga prima dei principi».
Anche perché, come sottolineano le Ong italiane che hanno promosso la Campagna “- beneficenza + diritti”: «Occorre riconoscere che la liberalizzazione e l’integrazione dei mercati, più che creare occasioni per le imprese di mettere in pratica comportamenti responsabili, generano un aumento della concorrenza a livello globale che causa una crescente corsa verso il basso sui diritti dei lavoratori e il rispetto dell’ambiente».

la strategia europea sulla Rsi

L’Unione europea iniziò ufficialmente a trattare la questione della responsabilità sociale delle imprese in occasione del Consiglio europeo di Lisbona del marzo 2000, quando i leader europei prefissarono l’obiettivo strategico di fare dell’Ue «la società più socialmente coesa e competitiva del mondo», facendo specifico appello al senso di responsabilità sociale di tutte le imprese europee. In pratica, l’Ue intendeva distinguersi a livello mondiale non limitandosi al rispetto delle norme internazionali già definite in materia ma dimostrando la capacità di adottare standard e indicatori europei, così che la responsabilità sociale, insieme alla partecipazione e al dialogo sociale, non costituissero solo dei vincoli amministrativi o dei costì bensì diventassero fattori di competitività e vantaggi sul mercato mondiale.
In questa ottica, nel luglio 2001 la Commissione europea presentò il Libro verde “Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese”, documento che aveva un duplice obiettivo: lanciare il dibattito sul concetto di responsabilità sociale delle imprese (Rsi) e definire le modalità di costituzione di un partenariato inteso a favorire lo sviluppo di una struttura europea di promozione di tale concetto. Il Libro verde definiva la Rsi come «l’integrazione su base volontaria dei problemi sociali ed ambientali delle imprese nelle loro attività commerciali e nelle loro relazioni con le altre parti». Il dibattito aperto dal Libro verde si basava sull’idea di fondo che la liberalizzazione economica, in assenza di una governance globale e in presenza di misure imperfette o inesistenti di governance delle imprese, rendeva sempre più urgente definire criteri e misure per indurre le imprese a rispondere delle loro attività non solo ai propri azionisti ma alla società nel suo complesso. Cioè l’impresa deve diventare responsabile del suo impatto sulla società e sull’ambiente in cui opera e deve essere trovato un compromesso equilibrato tra i suoi interessi privati e quelli generali.


il dibattito sul Libro Verde

Le reazioni al Libro verde furono favorevoli e i contributi al dibattito, pervenuti da parti sociali, soggetti della società civile, organizzazioni, organismi e istituzioni che a vario titolo erano interessati, furono oltre 300. Dalle varie posizioni espresse emergevano importanti divergenze sul concetto di Rsi:
• Secondo le imprese il loro impegno sociale deve restare di carattere volontario. Le organizzazioni degli imprenditori hanno sostenuto che sarebbe controproducente voler regolamentare la Rsi a livello europeo perché ciò soffocherebbe la creatività e l’innovazione. Inoltre, le imprese che operano nelle diverse parti del mondo dovrebbero così confrontarsi con priorità contraddittorie.
• Sindacati e organizzazioni della società civile hanno affermato che iniziative volontarie non sono sufficienti per proteggere i diritti dei lavoratori e dei cittadini, sostenendo la necessità di un quadro regolamentare che stabilisca norme minime e assicuri parità di condizioni. Le pratiche in materia di responsabilità sociale delle imprese, sostengono sindacati e Ong, non sono credibili se definite, attuate e valutate unilateralmente dalle imprese, bensì è necessario far partecipare al processo anche le parti interessate. Inoltre, chiedono meccanismi efficaci che impongano alle imprese di render conto delle ripercussioni delle loro azioni in ambito sociale e ambientale.
• Gli investitori hanno sottolineato la necessità di migliorare la diffusione dell’informazione e la trasparenza delle pratiche delle imprese, la metodologia delle agenzie di valutazione (rating) e la gestione dei fondi pensione e dei fondi d’investimento socialmente responsabili.
• Le organizzazioni dei consumatori hanno chiesto di poter disporre di informazioni affidabili ed esaurienti sulle condizioni etiche, sociali e ambientali della produzione e della vendita di beni e servizi per aiutarli a scegliere nei loro acquisti.
• Secondo il Comitato economico e sociale europeo, i principi d’azione volontaria e di sviluppo durevole in campo ambientale, economico e sociale, associati agli orientamenti delle organizzazioni internazionali, devono costituire il quadro di riferimento per ogni nuova iniziativa europea intesa a sostenere gli sforzi delle imprese nel campo della responsabilità sociale.
• Il Consiglio europeo ha affermato che una strategia europea di Rsi potrebbe completare le misure esistenti su scala locale e nazionale, apportando un valore aggiunto che potrebbe contribuire allo sviluppo della responsabilità sociale.
• Il Parlamento europeo ha proposto di integrare la Rsi in tutte le sfere di competenza dell’Ue, chiedendo che le imprese rendano conto nel bilancio annuale dei loro risultati in campo sociale, dell’ambiente e del rispetto dei diritti dell’uomo.


la linea della Commissione

In seguito al dibattito sul Libro verde, nel luglio 2002 la Commissione europea ha adottato una Comunicazione che indica la strategia comunitaria di promozione della Rsi.
Se l’adozione di una politica di responsabilità sociale è una decisione che spetta alle imprese e nasce dinamicamente dalla loro interazione con le parti interessate, sostiene la Commissione, dal momento che la Rsi va a beneficio della società e rafforza lo sviluppo durevole spetta ai poteri pubblici incoraggiare l’adozione da parte delle imprese di pratiche responsabili sul piano sociale e ambientale. Inoltre, secondo la Commissione, la Rsi è uno strumento che può contribuire al raggiungimento degli obiettivi delle politiche dell’Ue di competitività, occupazione, coesione sociale, protezione dell’ambiente, ma anche allo sviluppo e a una migliore governance globale, integrando gli attuali strumenti politici quali la legislazione e il dialogo sociale.
La Commissione propone dunque di sviluppare una strategia di promozione della Rsi attraverso una serie di principi: il riconoscimento della natura volontaria della Rsi; la necessità di rendere le pratiche socialmente responsabili credibili e trasparenti; la focalizzazione su attività in cui l’intervento comunitario apporta un valore aggiunto; un approccio equilibrato e globale, che comprenda gli aspetti economici, sociali e ambientali, nonché gli interessi dei consumatori; l’attenzione rivolta a esigenze e caratteristiche delle Piccole e medie imprese (Pmi); l’appoggio ad accordi e strumenti internazionali esistenti, rispettandone le decisioni.
Non aspettandosi che le aziende adottino pratiche di Rsi per motivi filantropici o di marketing, ma piuttosto in quanto utili alla loro competitività, l’esecutivo europeo definisce quindi i vari aspetti su cui tale strategia deve essere incentrata: fornire maggiori informazioni riguardo agli effetti positivi della responsabilità sociale sulle imprese e sulle società, in Europa e nel mondo intero, in particolare nell’ambito dei Paesi in via di sviluppo; rafforzare lo scambio di esperienze e buone pratiche sulla responsabilità sociale tra le imprese; promuovere lo sviluppo di capacità di gestione della Rsi; incoraggiare la responsabilità sociale tra le Pmi; facilitare la convergenza e la trasparenza delle pratiche e degli strumenti della Rsi; organizzare un Forum a livello comunitario, destinato a tutte le parti interessate; integrare la Rsi nelle politiche comunitarie.
La necessità di un’azione comunitaria deriva anche dalla proliferazione di strumenti diversi, difficilmente comparabili, della Rsi (norme di gestione, programmi di etichettatura e di certificazione, elaborazione di relazioni, ecc.) che genera confusione in imprese, consumatori, investitori, altri soggetti interessati e pubblico, a sua volta causa di distorsioni del mercato. Tramite la sua azione l’Ue può facilitare la convergenza degli strumenti utilizzati e, anche in quest’ottica, è stato creato un Forum europeo sulla Rsi che ha riunito imprese, organizzazioni sindacali e società civile per facilitare lo scambio di esperienze e di buone pratiche e stabilire linee guida comuni in materia di Rsi (vedi box).


la posizione del Parlamento

In seguito alle iniziative della Commissione, anche il Parlamento europeo ha espresso il suo parere sulla strategia europea in materia di Rsi. Nella Risoluzione sul Libro verde, adottata il 30 maggio 2002, il Pe invitava a introdurre requisiti sulle relazioni sociali e ambientali nella Direttiva sui conti annuali delle società e chiedeva la verifica, esterna alle imprese, delle relazioni annuali di valutazione dell’impatto sociale e ambientale. Sollecitava poi la creazione di «etichette sociali» basate sul rispetto dei diritti umani e sindacali, l’ambiente di lavoro, la formazione e lo sviluppo dei lavoratori, la parità di trattamento, le esigenze sociali ed etiche dei lavoratori e dei cittadini nella società circostante; invitava le parti sociali a elaborare «codici di condotta» e negoziare accordi sull’impatto sociale e ambientale delle attività d’impresa. Inoltre, sollecitava la Commissione a dare un esempio delle migliori prassi in materia di Rsi in tutte le sue attività e la invitava ad assicurare che i principi della Rsi fossero integrati pienamente in tutti i settori di competenza comunitaria.
L’Europarlamento ha poi adottato, il 13 maggio 2003, una Risoluzione sulla Comunicazione della Commissione relativa alla Rsi. Il Pe sottolineava l’importanza di «promuovere» anziché «imporre» la convergenza appoggiando il ruolo del Forum europeo in quest’ottica. Secondo il Pe, se le misure relative alla Rsi devono emanare dalla imprese stesse, per l’elaborazione concreta, l’attuazione e il controllo di tali misure è necessario il coinvolgimento di lavoratori, dei loro rappresentanti, dei consumatori e degli investitori. Il Pe ricordava poi l’importanza della parità di genere e della sostenibilità ambientale tra i principi della Rsi, auspicava la totale trasparenza dei risultati sociali e ambientali delle imprese e l’accesso del pubblico alle informazioni in materia di ambiente, salute e sicurezza, diritti dell’uomo in possesso delle imprese, al fine di agevolare un controllo esterno, nonché la necessità di definire un sistema di responsabilità delle imprese nei confronti dei cittadini.
Secondo il Pe andrebbe creata una «lista nera» delle imprese condannate per corruzione (che non potrebbero ottenere contratti dall’Ue per almeno tre anni), promossa l’etichettatura sociale e vietate le autodichiarazioni ambientali, con sanzioni nel caso gli argomenti dichiarati dalle imprese risultino falsi, fuorvianti o non verificabili.
L’Europarlamento invitava poi Commissione, Consiglio e Stati membri a promuovere la Rsi a livello internazionale, integrando tali principi nelle relazioni esterne, nelle politiche commerciali e di sviluppo e presso le agenzie di credito all’esportazione e di finanziamento dello sviluppo.
In una Risoluzione sul diritto societario del 21 aprile 2004, infine, il Pe ha ribadito che i principi di base della Rsi «debbono essere pienamente integrati in tutti i settori di competenza comunitaria, in particolare il diritto societario, il mercato interno, la politica di concorrenza, la legislazione concernente i mercati finanziari, la politica commerciale, la politica estera e di sicurezza comune e la politica di cooperazione allo sviluppo».

LA DISCUSSIONE DEL FORUM EUROPEO

Il Forum europeo Multi-Stakeholder (imprese, sindacati e organizzazioni della società civile) sulla Rsi ha concluso i suoi lavori il 29 giugno 2004, venti mesi dopo essere stato insediato dalla Commissione europea. Il dibattito sviluppatosi e lo stesso Rapporto finale elaborato dal Forum, e consegnato alla Commissione, hanno riproposto la questione di come trasformare nella pratica le raccomandazioni ed evidenziato le contrapposizioni tra i sostenitori dell’approccio volontario alla Rsi e coloro che considerano necessarie norme vincolanti.
L’Unione delle confederazioni industriali e imprenditoriali europee (Unice) ha sottolineato le difficoltà procedurali e organizzative dei lavori del Forum, dovute principalmente alle differenti aspettative dei vari partecipanti, alla mancanza di un linguaggio comune e all’elevata complessità della materia. Secondo i rappresentanti delle imprese europee, fermamente convinte del carattere volontario della Rsi, il Rapporto finale non è perfetto ma rappresenta l’accordo comune che si è riusciti a raggiungere. Diverso il parere delle Organizzazioni non governative (Ong), che hanno inviato un appello alle istituzioni europee affinché assumano un ruolo attivo dopo essere state neutrali o assenti durante i lavori del Forum. Secondo le Ong, le iniziative volontarie «non sono sufficienti a invertire l’impatto insostenibile delle attività industriali o per raggiungere gli standard indicati dagli accordi internazionali»: solo misure legali vincolanti, affermano, «potrebbero costituire un incentivo generale verso comportamenti responsabili da parte delle imprese». Le Ong europee considerano il Rapporto finale del Forum colmo di limiti, ma sostengono che se le raccomandazioni in esso contenute fossero applicate ciò rappresenterebbe un significativo passo avanti.
La Confederazione europea dei sindacati (Ces) sostiene la necessità di trasformare il Forum europeo in una sede permanente di cooperazione tripartita, cioè luogo di scambio di conoscenze, esperienze e informazioni nonché di denuncia delle peggiori pratiche in materia di Rsi. Secondo la Ces, la Rsi si colloca in ambito volontaristico ma tale volontarietà deve inserirsi in un quadro di riferimento, di proposte, di legislazione e di regole chiare per la certificazione e il controllo a livello comunitario: in questo quadro si dovrebbe istituire un bilancio annuale sociale e ambientale per le imprese, come avviene per il bilancio finanziario o la relazione agli azionisti. Il dialogo sociale e la qualità dell’occupazione e delle relazioni industriali sono, secondo i sindacati europei, elementi fondamentali per lo sviluppo delle pratiche di Rsi.

le linee guida dell'Ocse

Una delle iniziative maggiormente riconosciute a livello internazionale per indurre le imprese ad assumere comportamenti responsabili nell’ambito delle loro attività è quella siglata il 27 giugno 2000 dagli Stati membri dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), meglio nota come “Linee guida dell’Ocse destinate alle imprese multinazionali”. Si tratta di una serie di raccomandazioni, non vincolanti legalmente, che i governi rivolgono alle imprese multinazionali operanti nei o dai 30 Stati membri dell’Ocse più Argentina, Brasile, Cile, Estonia, Lituania, Lettonia, Slovenia e Israele. Lo scopo ufficiale delle Linee guida è di «stimolare il contributo positivo che le imprese multinazionali possono apportare al progresso economico, ambientale e sociale e di minimizzare le difficoltà che possono essere determinate dalle loro diverse operazioni». L’Ocse aveva già definito in precedenza delle raccomandazioni per le imprese, ma era evidente la necessità di adeguamento ai profondi cambiamenti intervenuti nel contesto economico mondiale, quali la crescente globalizzazione, l’interdipendenza sempre più marcata delle economie nazionali, il ricorso alla cooperazione quale strumento di stabilizzazione e di equilibrio internazionale. Così, si giunse alla revisione del 2000, che avvenne attraverso la consultazione di organizzazioni sindacali, imprenditoriali e non governative e che introdusse nuovi riferimenti alle catene di fornitura delle imprese, ai diritti umani, ai consumatori, alla corruzione e che rafforzò i capitoli relativi all’ambiente e le procedure di attuazione. Inoltre, le Linee guida estendono il campo di applicazione a tutti i settori produttivi e vincolano i governi a istituire dei Punti di contatto nazionali (Pcn, vedi box) per dare concreta attuazione alle raccomandazioni.
In pratica, l’applicazione delle Linee guida dovrebbe promuovere il dialogo tra governi e imprese, con la partecipazione e il coinvolgimento sistematico di sindacati, associazioni, organizzazioni non governative, rappresentanti della società civile, cioè di tutti coloro che perseguono i fini delle raccomandazioni e sono interessati alla loro attuazione.

impegni sottoscritti dai governi

Al fine di evitare un uso improprio o distorto delle Linee guida, i Paesi firmatari hanno assunto ufficialmente un triplice impegno:
• nei confronti delle imprese, a mettere in atto comportamenti volti ad assicurare che le stesse si uniformino a quanto enunciato nelle Linee guida;
• nei confronti degli altri governi: a non utilizzare le Linee guida a fini protezionistici o pregiudizievoli al vantaggio comparativo di un Paese; a conformare al diritto internazionale la propria normativa in materia di imprese multinazionali; a cooperare in buona fede, ricorrendo, se del caso, a meccanismi internazionali di composizione delle controversie derivanti dall’attività delle imprese;
• nei propri confronti, ad impostare strutture interne efficaci che includano: una politica macroeconomica stabile; un trattamento non discriminatorio delle imprese; una regolamentazione adeguata; un controllo prudenziale mirato; una giustizia e un’applicazione della legge imparziali; una pubblica amministrazione efficace e integra.

contenuti delle Linee guida

Il testo delle Linee guida dell’Ocse è articolato in tre parti. Mentre la seconda descrive la struttura e le attività degli organismi istituiti per l’applicazione delle raccomandazioni, come i Pcn e il Comitato degli investimenti internazionali e delle imprese multinazionali (Cime), e la terza contiene il commento alle sezioni precedenti, è la prima parte a definire gli ambiti delle raccomandazioni e le modalità operative a cui si devono attenere le imprese multinazionali. In estrema sintesi:
• Principi generali: rispettare i diritti umani di coloro che sono interessati dalle attività dell’azienda, in linea con gli obblighi e gli impegni internazionali dei governi ospitanti; incoraggiare la formazione di capitale umano, in particolare attraverso la creazione di opportunità di lavoro e agevolando le opportunità di formazione per i dipendenti; far sì, ogni qual volta possibile, che i partner (compresi fornitori e subappaltatori) adottino principi di comportamento dell’impresa compatibili con le Linee guida.
• Diffusione di informazioni: garantire la diffusione di un’informazione costante, puntuale, affidabile e precisa relativamente alle attività, strutture, situazione finanziaria e performance; adottare standard di alta qualità per la diffusione, la verifica, l’audit e per le informazioni non finanziarie come pure per la rendicontazione sociale.
• Occupazione e relazioni industriali: rispettare tutte le Convenzioni fondamentali dell’Oil; fornire ai rappresentanti dei lavoratori i mezzi necessari per facilitare la contrattazione collettiva; garantire la salute e la sicurezza nelle proprie attività; impiegare personale locale e fornire la necessaria formazione. Nel testo si legge anche: «Nella valutazione delle modifiche nelle proprie attività, che potrebbero avere effetti rilevanti sulle condizioni di vita dei propri lavoratori (…) specie nel caso di chiusura che comporterebbe licenziamenti collettivi (…), avvertire in tempi ragionevoli i rappresentanti dei lavoratori; (…) collaborare con i rappresentanti dei lavoratori e le autorità governative al fine di mitigare al massimo possibile gli effetti negativi». Inoltre, «non minacciare il trasferimento in tutto o in parte di un’unità produttiva dal Paese interessato, né di trasferire i lavoratori da un’unità in altri Paesi, a causa del fatto che i lavoratori esercitano il loro diritto di organizzazione».
• Ambiente: adottare i principi e gli obiettivi previsti dalla Dichiarazione di Rio e dall’Agenda 21; inserire norme su formazione e educazione dei lavoratori in materia di ambiente e di salute e sicurezza.
• Lotta alla corruzione: non dare o chiedere tangenti o dare contributi illegali a partiti politici; valorizzare la trasparenza e utilizzare sistemi di controllo del management che scoraggino la corruzione.
• Interessi dei consumantori: fornire informazioni chiare e accurate relativamente a beni e servizi; applicare procedure trasparenti per risolvere i ricorsi dei consumatori e i casi da loro posti.
• Scienza e tecnologia: adottare misure che permettano il trasferimento e la diffusione di tecnologie e know-how nei Paesi in cui si opera.
• Concorrenza: evitare attività anticoncorrenziali, come prezzi fissi e limitazioni alle produzioni.
• Fiscalità: rispettare le legislazioni e le norme fiscali e fornire informazioni alle autorità.

Testo linee guida Ocse: http://www.pcnitalia.it/documenti/LineeGuidaIT.pdf

I PUNTI DI CONTATTO NAZIONALI

Tutti gli Stati che hanno sottoscritto le Linee guida dell’Ocse devono costituire dei Punti di contatto nazionali (Pcn), i quali devono lavorare secondo quattro principi fondamentali: visibilità, accessibilità, trasparenza e credibilità. I Pcn possono organizzarsi in modo differenziato (tripartiti, quadripartiti o uffici governativi) e devono promuovere e mantenere rapporti con rappresentanti delle organizzazioni sindacali, imprenditoriali e non governative. Responsabili della sensibilizzazione sulle Linee guida, compresa l’informazione degli investitori, i Pcn devono rispondere alle richieste relative alle Linee guida e cercare di risolvere i problemi connessi alla loro attuazione nelle singole imprese. In pratica, in caso di sollevazione di problemi relativi all’attività di un’impresa, i Pcn devono: valutare se il caso sollevato merita ulteriori esami e rispondere alle parti che lo hanno sollevato; offrire un forum per la discussione e assistere le parti coinvolte ad affrontare il problema in modo efficiente e puntuale; offrire conciliazione e mediazione; mantenere la confidenzialità dei procedimenti; rendere disponibili al pubblico i risultati dei procedimenti. Ogni anno, poi, il Pcn deve relazionare sull’attività svolta.
Quando si intende sollevare un caso al Pcn è consigliabile contattare il sindacato nazionale o la Federazione internazionale di categoria per discutere le modalità e poi sottoporre il caso al/ai Pcn di riferimento. La presentazione del caso al Pcn deve includere: un’accurata descrizione contenente dati essenziali relativi all’impresa; nomi e contatti di manager e responsabili; indicazione del capitolo o del paragrafo delle Linee guida che si ritiene sia stato violato; le azioni che si ritiene il Pcn dovrebbe intraprendere; altra eventuale documentazione a sostegno della denuncia.
In Italia il Pcn è stato istituito con l’art. 39 della legge n. 273/2002 e rientra tra le attività del ministero delle Attività produttive, direzione generale per lo Sviluppo produttivo e la Competitività. È composto da un organo consultivo (Comitato) e da un organo tecnico (Segreteria) e collabora, sia a livello nazionale che internazionale, con gli esponenti delle principali amministrazioni nazionali e locali, con associazioni di categoria e sindacali, con le principali Ong, con gli atenei e le scuole di alta formazione, con gli esponenti della società civile e con tutti coloro che sono coinvolti nell’attuazione delle Linee Guida e nella diffusione dei temi legati al comportamento etico delle imprese.
INFORMAZIONI: http://www.pcnitalia.it

LINEE GUIDA: QUALI RISULTATI?

A cinque anni dall’approvazione delle Linee guida l’Ocse fa un bilancio sostanzialmente positivo. «Le Linee guida hanno consolidato la loro posizione, come uno dei principali strumenti mondiali in questo campo» hanno dichiarato nel settembre scorso i responsabili dell’Ocse, sottolineando come i Paesi che aderiscono alle Linee guida raggruppano l’85% dei flussi d’investimento internazionali e sono sede di 97 tra le 100 maggiori imprese multinazionali. Inoltre, secondo l’Ocse, l’azione svolta dai Pcn è stata notevole, dal momento che in 72 casi su 106 si sono mossi per trovare una mediazione su situazioni controverse che, in alcuni casi, hanno visto l’adozione di misure correttive da parte delle imprese. L’effetto delle Linee guida è stato positivo anche sui governi: «22 Stati firmatari si sono attenuti alle Linee guida in materia di crediti all’esportazione, investimenti e promozione commerciale» sostiene l’Ocse.
Di tutt’altro avviso la coalizione mondiale di Ong riunite nell’Oecd Watch, secondo cui le Linee guida sono uno strumento «inadeguato» per stimolare l’adozione di comportamenti responsabili da parte delle imprese. L’Oecd Watch ha esaminato 45 ricorsi depositati negli ultimi cinque anni da sindacati, Ong e popolazioni locali, evidenziando come i risultati siano stati insoddisfacenti nella maggior parte dei casi. «Nessun elemento indica che le Linee guida abbiano aiutato a ridurre il numero dei conflitti tra le comunità locali, i gruppi della società civile e le multinazionali. Senza la minaccia di sanzioni efficaci, le compagnie sono poco incentivate ad assicurare la corrispondenza dei propri comportamenti con le Linee guida», sostiene la coalizione mondiale di Ong secondo cui il fallimento coinvolge anche i governi nazionali, cui spetta il compito di dare concreta attuazione alle raccomandazioni delle Linee guida attraverso i Pcn. «Quando sono state presentate delle accuse, raramente i Pcn hanno contribuito a risolvere specifici conflitti e spesso non hanno neppure aperto delle indagini sulla fondatezza delle accuse» denuncia l’Oecd Watch che lancia un appello affinché siano approvati degli standard sociali e ambientali, non più volontari ma giuridicamente vincolanti per le imprese, al fine di mettere fine agli abusi, in particolare nei Paesi in via di sviluppo.
INFORMAZIONI: www.oecd.org e www.oecdwatch.org

La dichiarazione tripartita dell'Oil

La materia della responsabilità sociale delle imprese (Rsi) è trattata anche nella vasta produzione normativa dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil-Ilo), che in numerose Convenzioni contiene indicazioni cui devono attenersi nella loro attività le imprese (parte del sistema tripartito dell’Oil). Dalla libertà di associazione sindacale all’età minima di lavoro, dallo sfruttamento del lavoro minorile ai diritti delle popolazioni indigene, sono molte le norme stabilite dall’Organizzazione in tema di responsabilità sociale. Con la Dichiarazione del 1998 sui principi e i diritti nel lavoro, poi, l’Oil ha definito standard sui diritti umani nel lavoro quali la libertà di associazione e di contrattazione collettiva, l’eliminazione di ogni forma di lavoro forzato, l’abolizione effettiva del lavoro infantile, l’eliminazione della discriminazione, tutte norme che gli Stati membri dell’Oil devono applicare e far rispettare a prescindere dalla ratifica. Ma l’iniziativa più specifica sulla questione della Rsi è senz’altro la Dichiarazione tripartita di principi sulle imprese multinazionali e la politica sociale, adottata dall’Oil nel 1977 ed emendata nel 2000. Si tratta di una dichiarazione di principi che, nelle intenzioni dell’Oil, intende «incoraggiare le imprese multinazionali a contribuire positivamente al progresso economico e sociale, nonché a ridurre al minimo e a risolvere le difficoltà che le loro diverse operazioni possono creare». Le raccomandazioni in materia di occupazione, formazione, condizioni di vita e di lavoro e relazioni industriali sono rivolte ai governi, alle organizzazioni di datori di lavoro e di lavoratori e alle stesse imprese multinazionali, fornendo loro una guida per l’adozione dei provvedimenti, delle iniziative e delle politiche sociali. L’osservazione dei principi di questa Dichiarazione avviene su base volontaria e le disposizioni «non devono limitare o modificare in alcun modo gli obblighi derivanti dalla ratifica di una qualsiasi convenzione dell’Oil».

tutele all'occupazione

La Dichiarazione esorta i governi e perseguire la piena occupazione e le imprese multinazionali a sforzarsi per accrescere le possibilità e i livelli d’impiego, specie nei Paesi in via di sviluppo, consultandosi con le autorità competenti, le organizzazioni nazionali dei datori di lavoro e dei lavoratori. Governi e imprese dovrebbero eliminare ogni forma di discriminazione sul lavoro e adottare misure appropriate per far fronte alle ripercussioni delle attività di impresa sull’occupazione e il mercato del lavoro. In particolare, le imprese multinazionali dovrebbero evitare licenziamenti arbitrari, promuovere la sicurezza dell’occupazione e, quando prevedono modifiche delle loro attività (fusioni, acquisizioni, trasferimenti di produzione), dovrebbero segnalarle in anticipo ai governi e ai sindacati perché siano esaminate le ripercussioni e attenuate le conseguenze negative. Inoltre, i governi e le parti interessate dovrebbero sviluppare politiche di formazione e di orientamento professionale, mentre le imprese multinazionali dovrebbero assicurare ai loro dipendenti una formazione adeguata, che risponda alle esigenze dell’impresa e alla politica di sviluppo del Paese in cui operano.

condizioni di lavoro e di vita

I salari, le prestazioni e le condizioni di lavoro offerti ai lavoratori delle imprese multinazionali non dovrebbero essere inferiori a quelli praticati dai datori di lavoro del Paese in cui l’impresa opera, o comunque i migliori possibili nel contesto della politica governativa e in grado di soddisfare i bisogni essenziali dei lavoratori e delle loro famiglie. Le imprese multinazionali devono rispettare l’età minima di accesso al lavoro, in modo da assicurare l’abolizione del lavoro minorile, e mantenere le più elevate norme di sicurezza e d’igiene, conformemente alle esigenze nazionali, nonché mettere a disposizione di governi e sindacati informazioni sulle norme di sicurezza e igiene che esse applicano alle loro attività in altri Paesi.

relazioni professionali

I lavoratori devono godere, senza distinzioni e senza previa autorizzazione, del diritto di creare organizzazioni e di affiliarvisi e beneficiare di un’adeguata protezione contro gli atti discriminatori che minacciano la libertà sindacale. Le organizzazioni che rappresentano le imprese e i lavoratori devono evitare atti di ingerenza reciproci e prevedere consultazioni regolari sulle questioni di reciproco interesse. Le imprese multinazionali dovrebbero favorire i contratti collettivi e non minacciare trasferimenti di attività produttive per ostacolare o influenzare l’esercizio dei diritti sindacali, mentre i governi che offrono incentivi speciali per attrarre gli investimenti stranieri devono evitare che tali incentivi si traducano in restrizioni delle libertà sindacali. Inoltre, ai lavoratori deve essere garantito il diritto di presentare reclami senza subire pregiudizi, clausola importante soprattutto per multinazionali che operano in Paesi dove non sono osservate le Convenzioni dell’Oil.

Testo Dichiarazione: http://www.ilo.org/public/english/employment/multi/download/italian.pdf

SINDACATI INTERNAZIONALI: NO A RSI “FAI DA TE”

In occasione dell’avvio dei lavori per la preparazione delle linee guida dell’International Organization for Standardization (Iso) sulla responsabilità sociale delle imprese, iniziati nel marzo 2005 in Brasile, l’International Confederation of Free Trade Unions (Icftu) ha rinnovato la sua diffidenza verso questa iniziativa.
L’Icftu critica l’approccio volontario alla Rsi, «che implica responsabilità identificate unilateralmente dal management delle imprese», e denuncia come le imprese «non abbiano alcuna legittimazione politica per definire, da sole, le proprie responsabilità verso la società». Tali processi di definizione di standard sono «un modo inappropriato di determinare la responsabilità sociale» sostiene l’Icftu, che mette in guardia le imprese «dall’utilizzare la Rsi per ridefinire o reinterpretare le proprie responsabilità» e sottolinea come «l’adozione di norme da parte dei privati non può sostituire il ruolo che spetta all’Oil e ai governi».
Fonte: http://www.rsinews.it

le norme ONU e il Global Compact

Nel 2003 le Nazioni Unite hanno adottato le Norme Onu sulle responsabilità delle compagnie transnazionali e altre imprese riguardo ai diritti umani. Facendo riferimento agli standard contenuti in una serie di altri strumenti internazionali, a partire dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, le Norme Onu sono particolarmente importanti perché racchiudono in un unico documento gli obblighi per le imprese rispetto ai diritti economici, sociali e culturali, i diritti dei lavoratori, i diritti delle popolazioni indigene, il diritto umanitario, l’uso delle forze di sicurezza e il loro impatto sui diritti umani, il diritto allo sviluppo e il diritto all’ambiente sano, la corruzione e la protezione dei consumatori. Inoltre, le Norme Onu istituiscono un meccanismo di monitoraggi cui dovrebbero adeguarsi i sistemi già esistenti, evidenziano le buone prassi e costituiscono un importante strumento per giudicare le legislazioni nazionali in materia. Forniscono dunque una “guida” sia alle imprese che vogliono adempiere alle loro responsabilità legali ed etiche sia alle organizzazioni non governative e sindacali che contattano le imprese su questioni riguardanti i diritti umani. A differenza dei vari codici etici e di condotta, le Norme sono il risultato di un processo formale di consultazione autorizzato dall’Onu, mentre si differenziano dalle Linee guida dell’Ocse e dalla Dichiarazione tripartita dell’Oil per il loro solido legame alla legge, cioè applicano alle imprese norme e standard internazionali già esistenti (compresi quelli delle imprese stesse) senza clausole che ne limitino la natura normativa. L’attuazione delle Norme Onu si basa su tre principi: la volontà delle imprese di creare una cultura più orientata ai diritti umani; la valutazione attraverso monitoraggi e verifiche esterne alle imprese, ad esempio da parte di meccanismi Onu già esistenti, organizzazioni sindacali e non governative, associazioni imprenditoriali; l’azione degli Stati, con diffusione pubblica delle Norme, il loro utilizzo come modello delle attività delle imprese e l’imposizione del rispetto delle leggi che attuano le Norme stesse. È prevista inoltre la richiesta del rispetto delle Norme Onu presso tribunali nazionali e internazionali.

il Global Compact

Un’altra importante iniziativa dell’Onu in materia di Rsi è il Global Compact, lanciato dal segretario generale Kofi Annan nel 2000. Si tratta di un’iniziativa internazionale che unisce imprese, agenzie dell’Onu, organizzazioni sindacali e della società civile in supporto di 10 principi universali relativi ai diritti umani, al lavoro e all’ambiente (vedi box).
Il Global Compact cerca di contribuire alla creazione di un mercato globale più sostenibile e inclusivo e si propone di rafforzare le relazioni tra il mondo delle imprese e le società in cui esse operano a vantaggio della comunità globale, prestando particolare attenzione nei confronti delle popolazioni più povere. Due sono le finalità complementari del Global Compact: la prima riguarda gli sforzi che un’impresa deve intraprendere per applicare i 10 principi al suo interno, rendendoli parte della sua strategia aziendale e delle sue operazioni quotidiane; la seconda è quella di facilitare la cooperazione e la risoluzione dei problemi collettivi attraverso il coinvolgimento delle parti interessate (stakeholder). Per raggiungere questi fini sono utilizzati quattro strumenti-chiave: il dialogo sulle politiche (Policy Dialogue), il Forum per l’apprendimento (Learning Forum), la creazione di network locali (Local Networks) e la realizzazione di progetti di partenariato (Partnership Projects).
Il Global Compact non è uno strumento regolatore, non impone e non controlla il comportamento o le attività delle imprese, ma confida sull’opinione pubblica, sulla trasparenza e su una nuova consapevolezza degli interessi individuali delle imprese, del mondo del lavoro e della società civile, per avviare e condividere un’azione sostanziale basata sul rispetto dei 10 principi stabiliti.
Queste caratteristiche dell’iniziativa costituiscono allo stesso tempo il suo limite maggiore: la totale volontarietà dell’adesione e l’assenza di verifiche sulle applicazioni dei principi da parte delle imprese sono gli elementi maggiormente criticati da parte di tutti coloro che non lo considerano uno strumento efficace per la messa in atto di una reale responsabilità sociale.
In ogni caso, in 5 anni il Global Compact si è sviluppato e ad oggi registra la partecipazione volontaria di oltre 1700 imprese, che operano in settori e aree geografiche differenti di tutto il mondo. Oltre alle imprese e alle loro organizzazioni di rappresentanza, il network coordinato dall’ufficio del Global Compact comprende organizzazioni sindacali e della società civile, governi e 6 agenzie dell’Onu: Alto Commissariato per i diritti umani (Unhchr) Programma Onu sull’ambiente (Unep), Organizzazione internazionale del lavoro (Oil), Programma Onu per lo sviluppo (Undp), Programma Onu per lo sviluppo industriale (Unido), Ufficio Onu per le droghe e il crimine (Unodc).
La partecipazione alle iniziative del Global Compact si basa su quattro elementi: la buona volontà di entrare in relazione con tutti gli attori della società; la comprovata abilità di dare un contributo effettivo; la volontà e la capacità di superare una logica individualistica; la prova di un livello minimo di trasparenza e di affidabilità. Le organizzazioni partecipanti sono comunque libere, al di fuori del Global Compact, di continuare a utilizzare i loro specifici approcci nell’affrontare determinate questioni.
INFORMAZIONI: www.unglobalcompact.org | www.globalcompactitalia.org
Norme Onu: www.piudiritti.it/documenti/Norme-onu-it.pdf

I 10 PRINCIPI DEL GLOBAL COMPACT

I dieci principi del Global Compact relativi ai diritti umani, al lavoro, all’ambiente e alla lotta alla corruzione sono condivisi universalmente perché derivano da: Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, Dichiarazione dell’Oil sui principi e i diritti fondamentali nel lavoro, Dichiarazione di Rio sull’ambiente e lo sviluppo, Convenzione Onu contro la corruzione.
• diritti umani
1) Alle imprese è richiesto di promuovere e rispettare i diritti umani universalmente riconosciuti nell’ambito delle rispettive sfere di influenza;
2) di assicurarsi di non essere, seppure indirettamente, complici negli abusi dei diritti umani.
• lavoro
3) Alle imprese è richiesto di sostenere la libertà di associazione dei lavoratori e riconoscere il diritto alla contrattazione collettiva;
4) l’eliminazione di tutte le forme di lavoro forzato e obbligatorio;
5) l’effettiva eliminazione del lavoro minorile;
6) l’eliminazione di ogni forma di discriminazione in materia di impiego e professione.
• ambiente
7) Alle imprese è richiesto di sostenere un approccio preventivo nei confronti delle sfide ambientali;
8) di intraprendere iniziative che promuovano una maggiore responsabilità ambientale;
9) di incoraggiare lo sviluppo e la diffusione di tecnologie che rispettino l’ambiente.
• lotta alla corruzione
10) Le imprese si impegnano a contrastare la corruzione in ogni sua forma.

UN RAPPRESENTANTE SPECIALE DELL’ONU

Il 28 luglio 2005 il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, ha nominato il rappresentante speciale per le questioni riguardanti i diritti umani, le società transnazionali e altre imprese commerciali, nomina richiesta dalla Commissione Onu per i diritti umani in una risoluzione approvata il 20 aprile 2005. È stato nominato John Ruggie, tra gli ideatori del Global Compact, che per 2 anni avrà l’incarico di individuare e chiarire gli standard di responsabilità d’impresa relativi ai diritti umani, l’impatto che possono avere sulle imprese i concetti di “complicità” e di “sfera d’influenza” delle compagnie in questo campo, il ruolo degli Stati nella regolamentazione e nel controllo efficace delle imprese, anche attraverso la cooperazione internazionale. Il rappresentante speciale dovrà sottoporre un rapporto intermedio alla sessione 2006 della Commissione Onu sui diritti umani e uno definitivo nel 2007, contenenti un’analisi del problema e raccomandazioni sui punti principali. Voto contrario alla risoluzione Onu dell’aprile 2005 era stato espresso dagli Usa, secondo cui il testo considera le imprese «un potenziale problema anziché una forza positiva determinante per lo sviluppo economico e i diritti umani». Gli Usa sostengono che gli obblighi sui diritti umani non devono essere applicati agli attori non statali bensì agli Stati, i quali devono poi adottare leggi nazionali sui doveri dei privati se lo ritengono necessario.

  Tabella: Codici di condotta e Accordi-quadro* conclusi tra compagnie multinazionali e Global Union Federations (GUF).